Nel mondo ci sono oltre trenta conflitti armati, ma pochi riescono a destare l’interesse del media occidentali. Siria, Iraq e Ucraina sono quelli più “gettonati”, ma l’intero globo terreste è flagellato da guerre che coinvolgono milioni di persone.
Sud Sudan, Afghanistan, Darfur, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Yemen, Libia, Repubblica Centrafricana, Pakistan: sono guerre dimenticate dall’Occidente, che non trovano spazio nei talk show televisivi o sui social network.
Cos’hanno in comune questi conflitti? Cosa ne decreta l’importanza? Perché accendere i riflettori su una guerra anziché su un’altra?
I tragici fatti di Parigi hanno scoperto un vaso di Pandora ancora chiuso però solo per gli occidentali; dalla seconda guerra mondiale ad oggi, fatta eccezione per le due guerre nell’ex Jugoslavia, l’Europa vive in pace all’interno dei suoi confini. All’esterno, però, qualcosa è cambiato. Da un quarto di secolo a questa parte, i conflitti in Medio Oriente hanno destabilizzato non solo l’intera area, ma intere zone del globo un tempo apparentemente calme.
Oggi, l’Europa sarebbe di nuovo in guerra, ma contro chi? Contro il fondamentalismo islamico, direbbero in molti. Forse sì, ma dipende. Da cosa? Dal nemico o… dall’interesse.
Quella che l’Occidente chiama guerra al terrore è una guerra per il controllo delle fonti fossili, per il possesso di petrolio e gas naturali. In un suo articolo, il giornalista Sergio Ferraris fa un’analisi ponderata e lucida su quella che può essere la vera matrice di questa “terza guerra mondiale a pezzi”, come la definisce papa Francesco: l’energia.
Energia del terrore? L’Occidente in politica energetica non le ha mai mandate a dire; gestire l’energia significa avere tra le mani il potere: lo sanno gli americani, i francesi, gli inglesi, gli italiani, i sauditi. Divide et impera è la filosofia occidentale in campo energetico. Un’economia non si mantiene senza fonti energetiche, le nostre auto non circolano, i nostri elettrodomestici non funzionano, le nostre città non sarebbero illuminate di notte, non avremmo acqua corrente in casa. Nel resto del mondo, però, il contrario del vivere occidentale è la regola.
Una guerra è più importante di un’altra semplicemente perché diviene custode degli interessi dei paesi che governano il mondo. A chi importa dei conflitti etnici africani? Cosa tolgono agli occidentali? Nulla. A chi importa dei conflitti in Medio Oriente o sul Delta del Niger? Molti, perché il petrolio si trova proprio lì: non possiamo permettere ai terroristi o ai “paesi canaglia” di avere il controllo sulla nostra vita.
L’energia del terrore non è solo quella che l’Isis o Califfato come dir si voglia ha creato tra Siria e Iraq; l’energia del terrore appartiene a tutti noi, ogni volta che inseriamo una spina nella presa di corrente. Non vuole essere questo un pensiero semplicistico o anti occidentale, né una giustificazione del terrorismo islamico, che affonda le sue radici in un contesto storico ben più lontano, di qualche secolo, quando l’Occidente cristiano e l’Oriente musulmano si scontravano per il controllo e la supremazia del Mediterraneo.
Dietro l’odio religioso, fomentato sia da una parte del mondo musulmano sia da una parte del mondo occidentale, si nasconde molto bene l’interesse all’affermazione del potere energetico, supportato anche e sopratutto dai paesi arabi definiti “moderati”, che hanno tutto l’interesse economico nel vendere il proprio petrolio.
Dobbiamo avere terrore dell’energia? Bisogna cominciare ad essere consapevoli che lo scontro di civiltà in atto è diverso da quello avuto negli ultimi cento anni. Per giustificare una guerra la si è dovuta definire “santa”, cospargerla di combustibile religioso, interpretare a proprio modo una lettura sacra e scagliare contro inermi cittadini la rabbia repressa per decenni, se non secoli.
Finché saremo dipendenti dalle energie fossili non ci sarà pace; una lenta ma inesorabile conversione alla produzione di energia alternativa, che possiamo definire democratica perché alla portata di tutti i popoli, è l’unica strada da percorrere. Ci vorrà tempo, ma è una inevitabile strada da percorrere a tappe forzate, come sarebbe irrealistico pensare che, da domani, il sole e il vento possano mandare avanti un mondo energivoro.